Onorevoli Colleghi! - Fare impresa in Italia è davvero un'impresa.
      Il primato di difficoltà lo raggiunge l'imprenditore che voglia avviare un'attività di raccolta e smaltimento rifiuti, il quale deve svolgere ben settantotto adempimenti burocratici e «bussare» a ventiquattro diverse amministrazioni. Il secondo posto spetta invece al futuro carrozziere, rispettivamente con settantasei pratiche in ventiquattro uffici, incalzato, ma di poco, dal costruttore edile che, per la sua società, ne deve affrontare settantatre e diciotto. I più «avvantaggiati» invece sono i fabbricanti di oggetti preziosi che devono sbrigare appena cinquantatre adempimenti in diciotto enti, seguiti a pari merito dai fotografi e da chi vuol aprire un salone di estetica, con cinquantacinque adempimenti in rispettivamente diciannove e ventidue amministrazioni pubbliche. È questo lo scotto che deve pagare l'Italia delle imprese artigiane. La realtà di undici diversi settori merceologici viene fotografata così dalle associazioni di categoria.
      L'esigenza di un deciso snellimento degli obblighi amministrativi è un elemento decisivo per il rilancio dell'economia nazionale. Tutto questo si traduce infatti in una sensibile perdita di competitività. Non sempre è chiaro, però, quale sia la portata del fenomeno e, come spesso capita, la realtà supera la fantasia. Dal dossier delle associazioni emergono nero su bianco quali e quanti siano gli adempimenti per

 

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far decollare un'azienda artigiana. Chi vuole cimentarsi in un ristorante, ad esempio, deve sbrigare settantuno burocrazie in venti uffici, in una lavanderia sessantotto e ventidue, nella manutenzione di impianti sessantacinque e quindici, nel trasporto sessantadue e ventidue e nel commercio al dettaglio di prodotti alimentari cinquattotto e diciotto.
      Quanto agli enti a cui rivolgersi, c'è solo l'imbarazzo della scelta: camere di commercio, aziende sanitarie locali, comuni, province, regioni, agenzia delle entrate, INAIL, ministeri vari, registro delle imprese, albo delle imprese artigiane, vigili del fuoco, guardia di finanza, RAI, gestori delle utilities, consorzi nazionali per l'olio esausto e degli imballaggi e via dicendo. Un iter per cui ci vuole coraggio e sangue freddo, anche perché si tratta solo di «inizio attività».
      Le associazioni hanno richiesto maggiore attenzione da parte delle forze politiche nei confronti delle piccole e medie imprese, sollecitando l'intervento del Governo per affrontare le emergenze che questa imponente forza economica, composta da micro e piccole imprese, segnala con forza come passaggio necessario per contribuire a far ripartire il Paese.
      Dall'esperienza quotidiana possiamo trarre molti esempi di complessità e complicazione amministrativa, che mostrano quanto la burocrazia e i suoi costi rappresentino un ostacolo molto forte per tutte le imprese italiane nello svolgimento del proprio lavoro.
      In sintesi: il mondo dell'artigianato e delle piccole e medie imprese (PMI) ha affrontato lo scenario economico, determinatosi dopo l'introduzione dell'euro, caratterizzato dalla crescente concorrenza di nuovi competitori a livello internazionale e da un contesto congiunturale italiano ed europeo da alcuni anni molto debole, senza adeguate misure di salvaguardia. Al contrario, si è venuta affermando una concezione selettiva che conduce all'idea di «distruzione creatrice» del mercato, che sgombra il campo dalle imprese più deboli e più piccole. Tale concezione pervade buona parte del «pensiero» economico, e se ne trova traccia nelle affermazioni politiche di entrambi gli schieramenti, a dispetto dal fatto che sia l'Italia sia l'Europa evidenziano una presenza molto elevata delle PMI (oltre il 98 per cento). In Italia, peraltro, è più marcata la concentrazione di micro imprese: il 94,9 per cento del totale contro, ad esempio, l'81,4 per cento della Germania o il 79,7 per cento della Danimarca. In Italia l'economia è prevalentissimamente caratterizzata da micro imprese. La competitività del sistema Italia può consolidarsi a prescindere da esse?
      Senza confrontarsi con questa realtà si rischia di disperdere la forza della diffusione, della flessibilità e del radicamento territoriale delle imprese italiane (basilari per la coesione sociale del Paese) rinunciando ad ogni realistica ipotesi di sviluppo. Piccole imprese né protette dalla concorrenza sleale né sostenute da una realistica politica industriale. L'Italia rischia di diventare un Paese più debole economicamente e meno equilibrato socialmente, in cui le poche grandi imprese ancora esposte in settori ad alta competitività e ad alta creazione di valore non riusciranno da sole a compensare la deriva di un tessuto imprenditoriale lasciato solo ad affogare nell'acqua alta di una burocrazia paradossale, di una fiscalità troppo elevata (sia sul lavoro sia sull'impresa), della mancanza di politiche industriali.
      Le imprese, denunciano tre «emergenze burocrazia»:

          siamo il Paese che detiene il record mondiale per numero di adempimenti e «paradossi burocratici»; per iniziare un'attività di impresa servono mediamente sessantacinque adempimenti burocratici per diciotto-venti diverse amministrazioni. Una follia, questa, che costa 15 milioni di euro l'anno;

          carenze di mercato, che coinvolgono sia i settori energetici sia quelli assicurativo e finanziario, e che pesano sulle imprese italiane in modo abnorme rispetto ai concorrenti. Si pensi che una PMI italiana paga l'energia dal 30 al 40 per cento in più di una francese;

 

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          assenza di incisive politiche industriali: gli incentivi alle imprese sono calati in cinque anni di oltre il 50 per cento e le più colpite sono le piccole imprese.

      Un primo passo è sicuramente quello di contrastare la lentezza dei procedimenti autorizzatori amministrativi.
      Per arrivare a questo risultato, con l'articolo 1 del presente progetto di legge si propone di semplificare i procedimenti amministrativi relativi a domande corredate da autocertificazioni, riducendo i tempi per le indagini e i controlli da parte della pubblica amministrazione e quindi della conseguente chiusura delle pratiche autorizzatorie.
      Un altro ambito di intervento che si è ritenuto indispensabile è quello su cui incide l'articolo 2, nel quale si provvede a dimezzare i termini per l'avvio dell'attività oggetto di autorizzazione, procedimento che prende il via con la presentazione della dichiarazione di inizio attività.

 

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